La prima volta nella vita in cui ti accorgi di essere diversa, o di essere considerata tale, è difficile levarsela dalla testa, anche se è avvenuta in tenera età, anche se ormai sono passati tanti anni: la prima volta in cui la tua piccola, tenera, ingenua e pura anima di bambina si scontra con la realtà crudele e spietata e con il body shaming non si scorda mai.
Non sono mai stata all’asilo, sono andata direttamente alle elementari e questo, chissà, magari mi ha già risparmiato le prime sofferenze. Quando approdai in prima elementare mi scontrai col mondo. Un bambino mi chiamò “cicciona” e quello fu il mio unico nome, da quel momento in poi, per tutti. All’inizio non capivo bene, andavo da mamma e le chiedevo cosa significasse esattamente quella parola, cioè: avevo intuito, a grandi linee, il suo significato, ma non avevo ben capito perchè, quando la usavano su di me, mi guardavano con facce strane e ridevano. Quello che non avevo capito e che chiedevo alla mamma era “l’intenzione” di quella parola. Ebbene, come molte di noi ormai sanno bene, l’intenzione era, ovviamente, quella di ferirmi e di umiliarmi. Perchè?! Beh, lo sa solo Dio, nel senso che, il perchè, come primo istinto, un piccolo essere umano debba sentire quello di denigrare e ferire il prossimo, questo, beh, ancora non sono riuscita a spiegarmelo. Ero una bambina meravigliosa. Paffuta e con un caschetto alla Biancaneve. La mia infanzia fu, inutile dirlo, segnata. E da lì iniziò tutto.
Tornavo spessissimo a casa, dalla scuola, in lacrime. Confessavo, piangendo, non senza un pò di vergogna (come se quella che doveva vergognarsi fossi io), ai miei genitori, che i compagni mi chiamavano “cicciona”, e non solo… per buona parte delle elementari il mio soprannome fu “bufaletta”, con tanto di canzoncina simile ad un coro da stadio, da cantare allegramente nell’atrio, mentre si era tutti in fila per uscire, davanti a tutte le sezioni, davanti a tutti gli alunni dell’intero istituto: “Bufaletta, alè, alè – Bufaletta, alè, alè”. Nessuno interveniva, le maestre se ne fottevano. Oggi forse l’avrebbero chiamato bullismo, non so. All’epoca a nessuno interessava, nessuno faceva nulla, anzi, magari si faceva anche un sorriso all’allegro coretto, che allegria! Tutta questa pubblica umiliazione mi logorava. Mi annientava. Mi ha lasciato sulla pelle segni che porto ancora con me. A casa, quando piangevo, si dava poco peso alle mie parole, si paragonava il tutto a delle bambinate, ma la mia angoscia e inquietudine crescevano, giorno dopo giorno. Supplicavo mia madre di non mandarmi più a scuola. Eppure ero la prima della classe. Un’alunna modello.
Poi si verificò un passaggio fondamentale, che credo abbia condizionato l’intera mia vita a seguire. Quando piangevo e dicevo “mi chiamano grassa, mi chiamano cicciona!”, dentro di me mi domandavo con angoscia perchè mai io fossi la vittima designata e, piano piano, mi autoconvinsi di essere un mostro, un animale, una cosa abnorme, un’oscenità di bambina! Altrimenti perchè mai tutto quell’accanimento nei miei confronti? In più, quando dicevo ai miei che mi chiamavano così, nessuno mi ha mai presa per le spalle e mi ha detto: “sono degli idioti, sei una bambina bellissima, non sei grassa, non sei uno scherzo della natura, passerà, ignorali.” No.
Di fronte alla mia sofferenza, qualcuno pensò bene di portarmi dal dietologo.
Ecco, qui vorrei soffermarmi, forse serviranno due round per raccontarvi tutto, ma abbiate pazienza: è un passaggio importante. Analizziamo l’accaduto. Prima di mettere piede a scuola non avevo mai pensato di avere un problema col mio corpo, nè di essere grassa, nè di essere brutta, semplicemente non mi ero mai posta il problema. Ero una bimba paffutella, punto, niente di più, lo sviluppo avrebbe poi fatto il suo dovere. D’improvviso, quattro piccoli decerebrati iniziano a prendermi di mira, distruggendo il mio mondo sereno e catapultandomi in un inferno quotidiano. A questo punto, invece di dirmi che erano solo idiozie, che non avevo nulla di cui preoccuparmi, invece di andare a parlare, chessò, con la maestra, per prendere i dovuti provvedimenti, viene suggerito di andare dal dietologo. Se è il grasso che ti fa soffrire, allora eliminiamo il problema: dimagrisci!
Dunque fui portata dal primo dietologo quando andavo ancora alle elementari. Fino ad allora non avevo mai posto troppa attenzione a ciò che mangiavo ma mangiavo più o meno tutto: non disdegnavo legumi e verdure, così come non disdegnavo patatine e merendine, ma… quale bambino non ne va matto? Avevo, col cibo, il rapporto che ha qualsiasi altro bambino: mangiavo quello che mi veniva messo davanti, che erano poi le fondamenta della dieta mediterranea. E poi, soprattutto, voi riderete dinanzi a queste parole, ma ad un certo punto si scoprì, a seguito di una violenta crisi, che il mio fratellino era allergico alla cioccolata. Allergico alla cioccolata! Cosa che, ovviamente, fu bandita da casa e proibita anche a me. Quindi, la mia, è stata un’infanzia senza Nutella! Prendetene atto e rendetevi conto. Questo per dire sia quanto è paradossale la vita, sia per sottolineare che, tutto sommato, in quanto bambina, la mia alimentazione non era poi così diversa da quella di molti altri, anzi forse era meglio. Ma mi portarono dal dietologo. Non ricordo bene la sua faccia, ricordo solo che fece una cosa tremenda. Dopo la pesata e le cose di routine, evidenziò che dovevo perdere peso soprattutto nella parte inferiore di me stessa. Mi fece andare dietro la sua scrivania per mostrare ai miei genitori che la parte di sopra del mio corpo era, parole sue: “normale”, mentre l’altra, quella coperta dalla scrivania, ovvero fianchi e cosce, era la parte problematica, quella “anormale”. Normale e anormale. Che felice scelta di parole. Parole che non fecero altro che rafforzare la mia convinzione di essere una mostruosità.
Sulla via di casa, lo ricordo perfettamente: mia madre aveva in auto una busta di tarallini e ne diede qualcuno a mio fratello, io chiesi la mia parte, ma mi venne risposto: “Eh, no: tu sei a dieta!” Da quel momento cominciai veramente a capire cosa mi aspettava, fino a quel momento non avevo ben capito.
Fu il primo tentativo di dieta. Inutile dire che non ressi molto. Non ricordo, precisamente. Ero troppo piccola. Ma tutti, anche mentre facevo la dieta, continuavano a chiamarmi cicciona.
Ora mi fermo qui nel mio racconto personale, il resto nella prossima puntata, vi lascio però con dei fatti interessanti, leggete qui. Recenti studi hanno dimostrato qualcosa che ho sempre pensato.
il National Heart, Lung, and Blood Institute Growth e Health Study, ha coinvolto un ampio campione di bambine dai 10 ai 19 anni. Tra le variabili indagate, la percezione delle bambine di essere etichettate per il peso. In particolare, veniva loro chiesto a 10 anni: “Qualcuna delle seguenti persone ti ha detto che sei troppo grassa?” a cui faceva seguito una lista di persone: “padre, madre, fratello, sorella, migliore amica, ragazzo che ti piace, qualche altra ragazza, qualche altro ragazzo, insegnante”. Le partecipanti che rispondevano di “si” erano classificate come “etichettate”. Dalle valutazioni effettuate 9 anni dopo sulle stesse bambine, quando cioè erano ragazze di 19 anni, è emerso che la percezione delle bambine a 10 anni di sentirsi “etichettate” prediceva significativamente l’obesità a 19 anni. Questo dato è risultato indipendente dal peso della bambina a 10 anni e da altre variabili, quali la classe socio-economica e il livello di educazione dei genitori. Inoltre, l’associazione tra percezione di etichettamento a 10 anni e maggiore peso a 19 anni è risultata più forte quando era stato riportato che chi etichettava erano membri familiari.
Essere etichettati come “troppo grassi” nell’infanzia – ci dicono gli Autori della ricerca – è associato con una maggiore probabilità di avere un BMI da obeso circa una decina di anni dopo.
E qui, per ora, concludo.
Ciao, grazie per il tuo blog, su cui sono capitata un po’ per caso e che mi è piaciuto tanto da voler lasciare il mio piccolo contributo, per segnalare che la mancanza di sensibilità di certi medici nei confronti dei bambini può veramente avere effetti di lunghissimo termine. Non sono stata una bambina molto sovrappeso, e fortunatamente non ho mai dovuto subire nessuno degli insulti o delle mortificazioni di cui tu e le altre persone nei commenti parlate. Però questo sì: la mia era una pancia molto pronunciata. Tanto che quando avevo circa otto anni, durante una visita dall’ortopedico per un problema ai piedi, suddetto ortopedico pensò bene di farmi salire su un piedistallo, mezza svestita com’ero (avrò avuto solo le mutandine, immagino), chiamare mia madre dall’altra stanza e, dopo avermi fatto mettere di profilo, dichiarare a gran voce: “Ma questa bambina ha una pancia che sembra un commendatore di sessant’anni!”
Lascio immaginare quali immagini questa frase evocò nella mia mente. Nessuna particolarmente edificante o positiva, certo nessuna nella quale volessi o anche soltanto potessi riconoscermi. Risultato: la mia pancia era anormale e dunque mostruosa, un’escrescenza abonorme sulla quale non potevo avere nessun controllo.
Questo episodio è stato sufficiente perché, trent’anni e cinque o sei diete dopo, io riesca ancora a passare un’ora dall’analista a parlare soltanto della mia pancia, di quanto è sporgente, di quanto deforma il corpo, di quanto lo deforma ora che ho sette o otto chili in più rispetto al mio peso “accettabile” e di quanto lo deformava anche quando il famoso peso “accettabile” era quello che avevo, per non parlare del fatto che parte delle difficoltà a cui sto andando incontro ora che certo di avere un bambino sono legate al terrore di una ulteriore “espansione pancesca”, in gravidanza ma soprattutto dopo.
Consiglio, a latere, la lettura di un libro che purtroppo non credo sia stato tradotto in italiano, ma se si conosce un po’ l’inglese vale la pena: Fat is a Feminist Issue, di Susie Orbach. L’autrice ha anche scritto più di recente uno splendido saggio fortunatamente tradotto, Corpi, che è anch’esso fonte di ispirazione e di rafforzamento, se non dell’autostima, almeno dell’autoconsapevolezza. Un saluto e grazie!
Ciao Eva, grazie del tuo contributo. E’ pazzesco quello che il “gentile” ortopedico ha osato dire. Immagino lui non immagini neanche lontanamente il danno causato. E’ terribile.. Non conosco i titoli che hai citato ma sembrano molti interessanti, infatti li cercherò subito. Grazie per essere passata. Un Saluto, e FORZA e CORAGGIO! Vale.
i bambini non devono far “diete” sopratutto nell’età dello sviluppo, dovrebbero mangiare sano e fare movimento. Stop
io da piccola ero molto alta: a 8 anni ero 1 metro e 48. lo ricordo perchè la maestra mi ha misurata tre o quattro volte mentre stava spiegando il sistema metrico decimale e a 9 anni stavo scomoda nel banco da “nanetti” delle elementari, mi agitavo e ohibò! parlavo con le altre bambine! ho collezzionato una serie di note tipo “non Tace mai!” con punto esclamativo che hanno di sicuro battuto qualche record. mio papà era un grande e ha battuto quella cattiva maestra 10 a 0 proponendole seriamente di comprare un banco per me: non è successo perchè, misteriosamente, è arrivato un banco adatto a me. e le predizioni di quella autentica megera non si sono avverate: alle scuole medie grazie ad una professoressa in gamba sono stata benissimo al liceo bene nonostante il gran studio e ci sono ancora ma dall’altra parte della cattedra. e dico a tutti i miei alunni, alti, bassini, magrolini e cicciottini che sono bellissimi perchè in ognuno di loro c’è qualcosa di bello e di interessante a partire dal loro cuore e dalla loro mente che a quell’asinaccia della mia maestra non interessava affatto. con le mie compagne non ho avuto molti rapporti: ero la secchiona della classe che per di più passava pochino, i miei “amici” erano soprattutto i maschi che mi consideravano più o meno un ragazzo di quelli occhialuti e secchioni ovviamente! ora sono alta solo 1 metro e 72 peso circa 83/84 kg e mi piacicchio abbastanza, ultimamente mi sono anche simpatica e forse miglirerò ancora nella considerazione di me.
Intervengo nuovamente e spero di non risultare noiosa.
Come dissi molto tempo a dietro, io non ho grande memoria degli insulti subiti in passato, ma questo nuovo articolo mi ha “mosso un po’ la pancia” riportandomi alla mente emozionii orribili e una domanda mi gira in testa: ora che ho maturato l’ idea di avere un figlio, qualora anche lui, o lei, crescendo diventasse in sovrappeso, come mi comporterò?
Ho sempre pensato “se un giorno avrò un figlio, non lo torturerò come faceva mia madre con me”. Ma sarò in grado di farlo o diventerò ansiosa e accanita come mia madre che non mi permetteva di mangiare nulla di quello che mi piaceva e che mi dava come merenda a scuola toast integrali mentre tutti gli altri si sbaffavano tranquillamente i loro kinder bueno, tortine al cioccolato, patatine etc. Li invidiavo così tanto!!! Ora capisco che lo faceva per il mio bene, ma in parte anche per il suo, perchè lei, atleta di 44 kg in perfetta forma fisica dopo due gravidanze, non poteva permettersi di mostrare in giro una figlia che all’ età di 8 anni pesava più di lei…
Temo che vedendo mio figlio come me, mi si scateneranno le paure del tipo “lo insulteranno, lo derideranno, starà male e io non potrò difenderlo” e senza accorgermene diventerò come mia madre,,,che mi negava tutto per il mio bene.
Mi piacerebbe tanto sapere se qualcuno ha queste mie stesse paure.
Grazie per questo bellissimo blog.
Grazie a te, Chiara, perchè passi di qui a dare il tuo contributo. Come hai potuto leggere, anche secondo dati scientifici, trattare un figlio come faceva la tua mamma, fargli provare, fin dalla tenera età, l’esperienza della privazione e del sentirsi diverso dagli altri, farebbe solo male. Il bimbo si autoconvincerà di essere diverso, sbagliato, e avrà, probabilmente, un futuro più propenso all’obesità (quando magari, accanendosi meno, con lo sviluppo si risolve tutto), o comunque un futuro da persona insicura, seppur magra. Anche io ho spesso paura di diventare come mia madre, sotto molti punti di vista, ma non questo. So che se mia figlia o figlio dovessero essere grassottelli, sarà per loro una scuola di vita. In fin dei conti, anche le esperienze negative mi hanno portata ad essere quella che sono oggi, in positivo intendo. Nella vita incontreremo sempre chi avrà voglia di umiliarci, anche se peseremo 40 kg, il mondo è crudele, e per un bambino grassottello ci saranno tante sofferenze, è vero, ma ci sarà anche la consapevolezza che crescerà forte, senza omologarsi alla massa, sviluppando un pensiero divergente. Poi, a casa, avrà tutto l’amore e l’appoggio di mamma e papà che, cosa molto importante, direi fondamentale, lo ameranno per quello che è, senza mai fargli pesare nulla, perchè ciò che lui è va benissimo, non è sbagliato, non è anormale, è solo da amare e da supportare.
Mi riconosco molto nella tua storia. I bambini a scuola mi si lanciavano contro sostenendo che su di me si rimbalzava oppure mi prendevano a pugni,spesso nello stomaco, dicendo che tanto non mi sarei mai potuta far male con tutto il grasso a proteggermi! Le maestre mi davano della bugiarda se osavo parlare…
Wow….mi hai fatto commuovere…credo che la maggior parte di noi abbia passato lo stesso schifo
E aspetta di sentire il resto! 😉